Il problema della sicurezza sul lavoro è ancora oggi un argomento spinoso del nostro ordinamento. Di solito quando un dipendente subisce un infortunio sul lavoro, l’azienda risponde del risarcimento. Quest’ultimo tuttavia si verifica solo quando le lesioni sono provocate dall’esclusiva colpa del datore di lavoro.
Volendo andare più nel dettaglio sull’argomento, cerchiamo di individuare tutto quello che bisogna sapere a riguardo. Ovvero quando si può parlare di responsabilità esclusiva del dipendente e quando di responsabilità del datore di lavoro.
Risarcimento danni datore di lavoro per infortunio dipendente
Come regola generale bisogna fare riferimento all’articolo 2087 del nostro codice civile. Tale norma obbliga il datore di lavoro ad assumere tutte le misure necessarie per la sicurezza sul luogo di lavoro dei suoi dipendenti. Le misure da adottare cambiano a seconda della mansione del lavoratore: più sono pericolose le mansioni, più rigorose saranno le misure.
A rispondere del risarcimento è l’ente INAIL, che comunque esclude la responsabilità del lavoro in alcune specifiche circostanze che vedremo di seguito.
La responsabilità civile del datore di lavoro esiste in taluni specifici casi:
- nel caso di violazione del predetto articolo. Quindi se non si assumono le giuste precauzioni in termini di sicurezza (a seconda della particolarità del lavoro) il datore risponde personalmente;
- nel caso in cui il datore sia stato condannato dal punto di vista penale proprio per l’accaduto che ha provocato infortunio;
- nel caso in cui la sentenza penale accerti che le lesioni siano state provocate da mancanze o negligenze di dirigenti e responsabili che il datore di lavoro aveva incaricato di svolgere sorveglianza stretta.
A ben dire possiamo concludere dicendo che il datore di lavoro risponde dell’infortunio del suo dipendente in ogni situazione in cui il suo comportamento possa essere etichettato come illecito (ogni situazione è poi a sè stante e va valutata nella sua soggettività).
Ovviamente ci teniamo a precisare che se il lavoratore prende una somma di denaro a titolo di risarcimento, dall’importo si deve detrarre tutto quello che l’INAIL ha versato a titolo di indennizzo.
L’infortunio sul lavoro è sempre risarcito?
Ci sono situazioni in cui il lavoratore non ha diritto ad alcun indennizzo per l’infortunio sul lavoro? Ovviamente sì, e l’ordinamento italiano etichetta tale ipotesi con il nome di «rischio elettivo». Si tratta di un comportamento volontario adottato dal lavoratore, che è anomalo, o comunque non dipendente da alcuna forza maggiore. In una simile circostanza la responsabilità del datore di lavoro non è da tenere in considerazione
Sono ben precise le situazioni in cui è possibile parlare di rischio elettivo. In primis quando il dipendente compie un atto volontario illogico e che non serve per le finalità produttive. In secondo luogo quando tale atto serve a soddisfare i propri impulsi personali e non le prestazioni lavorative. In terzo luogo quando il dipendente si mette in pericolo senza che gli venga chiesto o comunque in una situazione differente da quella cui sarebbe assoggettato, sicché l’evento non è commisurato allo svolgimento dell’attività lavorativa.
In questa situazione ne consegue la considerevole diminuzione del risarcimento a seconda della gravità della colpa delle azioni del dipendente.
L’infortunio sul lavoro quando viene risarcito dal datore di lavoro?
L’infortunio sul lavoro si risarcisce direttamente dal Datore di Lavoro nel caso in cui all’infortunato venga riconosciuto un danno biologico più basso del 6% (franchigia dell’INAIL). Altro caso in cui risponde il datore in prima persona è nel caso di differenza tra la somma versata dall’INAIL per il danno permanente riconosciuto ed il maggior danno differenziale.
Ad ogni modo, per ope legis, è sempre l’INAIL a rispondere del pagamento risarcitorio. Di contro il danno differenziale si può richiedere in sede giudiziale direttamente al proprio datore di lavoro, nella quota non ricevuta dall’INAIL (se spettano 16 mila euro, e il danno INAIL è pari a 10 mila, i 6 mila li paga il datore, giusto per fare un esempio numerico).