Licenziamento per giustificato motivo oggettivo Vs giustificato motivo soggettivo: le differenze.
Si parla di licenziamento per indicare quel provvedimento che un datore di lavoro prende nei riguardi di un dipendente, a titolo di sanzione disciplinare. Nel nostro ordinamento di solito si fa una distinzione tra due tipi di licenziamento: quello per giusta causa e quello per giustificato motivo soggettivo.
A stabilire questa visione dell’istituto giuridico è stata la Corte di Cassazione in una sentenza del 1987 (la n. 4823) per la quale il licenziamento, nella sua visione ontologica, ha una natura disciplinare in quanto addebitabile al lavoro e al suo comportamento. Ne consegue che ai sensi dell’articolo 2119 cc, un licenziamento per colpa può essere per giusta causa, oltre che per giustificato motivo soggettivo. In tale sede andremo tuttavia a fare una distinzione tra il licenziamento per giustificato motivo soggettivo e per giustificato motivo oggettivo.
Licenziamento per giustificato motivo soggettivo: la portata
Nella Legge 604/1966 è previsto che un datore possa licenziare un dipendente (privato o pubblico che sia) sia per giustificato motivo soggettivo che per giustificato motivo oggettivo.
In quello che si chiama giustificato motivo soggettivo vengono incluse tutte quelle condotte che il lavoratore assume non adempiendo ai suoi doveri sul posto di lavoro. Parliamo quindi di una particolare categoria di licenziamento disciplinare, che ai sensi dell’articolo 3 della predetta legge richiede come primo presupposto “un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali”. Tale inadempimento grave deve subire una valutazione da parte del datore tenendo conto dei suoi interessi e di quelli dell’azienda, che di solito va gestita su presupposti di economicità, efficacia ed efficienza. Ledendo uno o più di essi, con il suo comportamento, il lavoratore compromette la stabilità produttiva.
In fondo il contenuto della legge non ha fatto altro che rafforzare quanto già previsto nell’articolo 1455 del codice civile, in merito alle possibili motivazioni di risoluzione del contratto. In pratica la legge è andata a subordinare la risoluzione del contratto alla sussistenza di comportamenti inadempimenti gravi, che tendono a ledere l’interesse di una delle parti interessata dal contratto (alias il datore di lavoro).
Per licenziare un dipendente per giustificato motivo soggettivo quindi è importante che si sia verificata una gravosa violazione concernenti il lavoro, le mansioni e tutto ciò che ne consegue, sulla base di quanto previsto dal contratto. La violazione insomma deve essere tale da portare la parte lesa a considerare l’atteggiamento talmente pregiudizievole da non poter piu tollerare il rapporto di lavoro. Tali inadempimenti non devono però risultare talmente gravi da legittimare un licenziamento disciplinare senza preavviso (presupposto questo caratterizzante il licenziamento c.d. per giusta causa).
In generale deve venir meno il rapporto di fiducia che univa le due parti del rapporto di lavoro, affinché si possa parlare di giustificato motivo soggettivo. Stante quindi ad una pronuncia della Suprema corte (sentenza n. 6889 del 13 maggio 2002) il giustificato motivo soggettivo si distingue dalla giusta causa solo per la gravità dell’inadempimento che ha riguardato il dipendente. Tale gravità si stabilisce come già detto considerando tutto l’assetto aziendale.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Di converso si parla di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quando il datore di lavoro pone in essere un licenziamento del lavoratore in caso di necessità. Più nello specifico è possibile in tal senso licenziare il dipendente per “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” (cfr. art. 3 Legge n. 604/1966). Di seguito elenchiamo tipiche situazioni in cui si può esaurire questo particolare tipo di licenziamento:
- Manchevolezza da parte del lavoratore nell’esaurimento delle sue mansioni;
- ritardi del dipendente sul posto di lavoro;
- Arresto preventivo del lavoratore;
- detenzione per condanna passata in giudicato;
- assenza prolungata dal posto di lavoro per malattia
- superamento del “comporto” (cioè quel periodo vincolante entro il quale un datore non può licenziare il dipendente per motivi di salute);
- Non idoneità del lavoratore dal punto di vista fisico
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