Il codice civile, all’articolo 1221 disciplina la cessione del ramo d’azienda o dell’azienda. Con tale affermazione ci si riferisce ad ogni operazione avvenuta tramite contratto o fusione, attraverso la quale muta la titolarità di una parte d’azienda.
Dal momento che l’azienda è definita come l’insieme dei beni usati da un imprenditore per l’esercizio della propria attività, il ramo d’azienda rappresenta una parte di essa, sostanzialmente autonomo. Con molta attenzione e meticolosità, l’ordinamento giuridico italiano disciplina la cessione e l’affitto del ramo d’azienda, con annessi e connessi.
Cosa comporta la cessione di un ramo d’azienda?
Per capire a fondo cosa comporta la cessione del ramo aziendale, bisogna partire col distinguere questa figura dalla vendita dei singolo beni aziendali. Come poc’anzi spiegato il ramo d’azienda si distingue per la sua autonomia funzionale, mentre il singolo bene può essere rappresentato da un macchinario, un insieme di materie prime, insomma rappresenta un’entità che presa da sola non può porre in essere alcuna attività.
La cessione può concernere un solo ramo d’azienda, più rami d’azienda o tutta l’attività, come del resto stabilisce l’articolo suddetto del codice civile. Tanti possono essere i motivi che spingono un imprenditore a privarsi di una parte di una propria azienda, il che comporta il cambiamento di titolarità di diritti e doveri.
La cessione del ramo d’azienda viene esperita attraverso atto ufficiale (notarile) e coinvolge chi cede, ovvero l’imprenditore, e chi acquista ovvero il cessionario. Sui generis questo atto ufficiale ha la stessa forma di un contratto di compravendita, anche se spesso con il termine cessione si fa riferimento anche all’affitto del ramo d’azienda.
Bisogna partire dal presupposto infatti che secondo la legge italiana, la cessione di un ramo aziendale può avvenire o a titolo definitivo o a titolo provvisorio. Nel primo caso viene trasferita la proprietà in maniera permanente, sia vendendo, che donando, sia attraverso testamento. Nel secondo caso invece viene trasferito solo il comodato, per cui si pone in essere un comodato d’uso o un contratto di affitto.
Dopo aver eseguito la cessione del ramo aziendale, il cedente ha il divieto di concorrenza: qualora dovesse porsi in questa scomoda posizione dovrà rispondere di responsabilità contrattuale e in capo al cessionario vigerà ampio diritto di risoluzione del contratto.
Colui che cede un’azienda, o anche solo parte di essa, ha altresì l’obbligo per i cinque anni successivi alla cessione, di non avviare una nuova attività che abbia ad oggetto, o per ubicazione, il medesimo di quella ceduta. Tale divieto sussiste anche solo se si rende l’azienda in affitto o in comodato, ma in questo caso la durata dell’astensione verrà previamente riportata all’interno del contratto di comodato o di affitto.
Per porre inoltre in essere una tutela ulteriore sempre di chi riceve l’attività, l’ordinamento vieta tutto quanto poc’anzi descritto anche agli eredi dell’alienante, o almeno così ha stabilito la corte di Cassazione in una recente pronuncia (sent. n. 1957/2014). Il patto di non concorrenza può includere anche tanti altri limiti, a patto che essi non siano oltremodo pregiudicati per l’alienante: sarebbe infatti inopportuno e poco corretto vietargli qualunque attività professionale.
Come calcolare l’affitto ramo d’azienda
Decidere di dare in affitto o definitivamente cedere un’azienda o un ramo d’azienda non è semplice. Sia chi cede che chi acquista fa delle opportune valutazioni economiche, al fine di capire se la manovra effettivamente ha un valore proporzionale alla propria forza economica.
Nel caso dell’affitto, colui che trasferisce provvisoriamente parte della sua azienda deve preventivamente effettuare un confronto tra gli incassi provenienti dalla gestione del ramo e quelli che invece si avranno dall’affitto del complesso aziendale.
Ecco il motivo per il quale il canone di locazione viene calcolato seguendo degli step equi e congrui ben precisi. Di norma un canone considerato congruo si ottiene moltiplicando il valore del capitale economico dell’azienda e i tassi di guadagno derivante dalla somma investita nell’azienda affittata. Quest’ultimo parametro si ottiene usando strategie e metodi complessi patrimoniale, come ad esempio effettuando il totale del patrimonio netto rettificato e del valore dei beni immateriali non contabilizzati.
Al di là di questi calcoli, la stima del canone va fatta anche prendendo in considerazione l’eventuale rischio di insolvenza dell’affittuario. Può capitare che il cessionario non riesca a rispettare gli impegni pattuiti versando ogni mese il canone di locazione. Dal momento che quest’ultimo si ottiene effettuando i calcoli sopra riportati, è importante che il tasso di remunerazione contenga già uno smacco a valore dell’eventuale rischio di insolvenza dell’affittuario (nonché delle possibili garanzie che assistono il contratto).
Ma cosa succede quando volge al termine il contratto di affitto del ramo d’azienda? C’è da tenere conto che quando scade il contratto l’azienda sarà costituita anche di beni ulteriori rispetto agli originari, ovvero quelli prodotti dal cessionario. È doveroso pertanto fare un inventario e il quadro della situazione sia prima che si affitti il ramo d’azienda sia alla fine del rapporto. In presenza di ulteriori consistenze, al cessionario viene dato un corrispettivo in denaro, così come espressamente stabilito dall’art. 2561 al comma 4, c.c.
Anche per tale ragione quando si fissa il canone, è importante tenere conto delle differenze inventariali che potranno esserci a scadenza del contratto, fermo restando che il locatore ha l’obbligo di prendersi la responsabilità dell’eventuale rischio di riduzione del valore dell’avviamento relativo all’azienda oggetto del contratto di locazione.
Per quanto appena detto, sempre all’interno del tasso di remunerazione sarà prevista una percentuale ulteriore considerata come il rischio verificabile in caso di cambiamento inatteso del capitale economico per l’arco di tempo in cui durerà l’affitto ramo d’azienda. Si può insomma concludere dicendo che il canone congruo si ottiene dal prodotto del capitale economico dell’azienda per un tasso di remunerazione inclusivo di molteplici parametri.
Immagine da Pixabay.com