Per avere accesso alla disoccupazione, un lavoratore deve essere licenziato. Quando si ha intenzione intenzione di dare volontarie dimissioni sorge pertanto spontaneo domandarsi se poi dopo aver perso il lavoro si può godere dell’indennità di disoccupazione. In realtà la legge prevede alcune specifiche cause in cui le dimissioni volontarie risultano requisito d’accesso per il sussidio alla disoccupazione.
Andiamo ad analizzare per tanto più da vicino come funziona la NASPI per i dimissionari e quali sono gli iter da seguire. Specifichiamo inoltre le situazioni particolari in cui ciò è possibile e come presentare la domanda INPS senza errori.
Come licenziarsi senza perdere il diritto alla disoccupazione
Il licenziamento avviene quando è il datore di lavoro a decidere di interrompere il rapporto. Si parla di dimissioni quando invece è il lavoratore a voler porre fine al rapporto di lavoro. In linea generale, l’ordinamento italiano prevede che chi si dimette non deve avere accesso alla NASPI.
Come abbiamo anticipato, esistono però delle eccezioni. Sono quei casi specifici in cui pur essendo stato il lavoratore ad interrompere il rapporto, le motivazioni per le quali ha deciso così rappresentano una giusta causa. Giusto per farla più semplice se il dipendente si dimette per cambiare azienda e far carriera, non ha diritto alla disoccupazione.
La NASPI non spetta ai dimissionari appena diventati genitori, non spetta per sopravvenuta malattia, per ragioni anagrafiche. Non spetta se il datore non ha premiato il lavoratore con una promozione, non spetta se le dimissioni dipendono da un basso salario. Non spetta nemmeno per chi ha rapporti astiosi con i lavoratori, o se la paga è giunta con qualche giorno di ritardo. Orbene, pur essendo queste motivazioni validissime per dimettersi, non sono rientrare nel novero di dimissioni per giusta causa e non danno quindi adito ad ottenere la NASPI.
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Chi si licenzia ha diritto alla disoccupazione?
Quando un lavoratore decide di rilasciare le proprie dimissioni al datore, deve presentare una istanza telematica. Nella compilazione del form pensato appunto per questa domanda, il dimissionario potrà indicare il motivo per cui ha deciso di lasciare il posto di lavoro. Il motivo che andrà a barrare rappresenta la giusta causa. Pur non essendo obbligatorio, nelle note del modulo si può scrivere tutto quello che si ritiene opportuno per lasciar intendere il perché di una simile decisione.
Solo dopo aver inviato la domanda di dimissioni per giusta causa, il lavoratore può fare richiesta di NASPI. Nella domanda di richiesta della disoccupazione si dovranno specificare nuovamente i motivi per cui non si lavora, e quindi se è stato un licenziamento o invece una dimissione per giusta causa. La legge non obbliga in tal sede al lavoratore di dare spiegazioni circa le motivazioni per cui ha abbandonato il posto di lavoro.
L’ente previdenziale INPS a questo punto analizzare il caso, e sulla base delle informazioni fornite stabilisce se si è trattato o meno di dimissioni per giusta causa. Se dovesse respingere la domanda, il lavoratore ha diritto ad aprire un contenzioso, durante il quale dovrà avere tutte le prove tra le mani per dimostrare che le sue dimissioni non sono state dettate da futili motivi, ma da ragioni rientranti nel novero di giusta causa.
Come si dimostra la giusta causa delle dimissioni?
Come abbiamo potuto già constatare nella compilazione dell’atto di recesso (ovvero le dimissioni telematiche) il lavoratore non deve per forza dare una spiegazione circa i motivi che l’hanno spinto a presentare le dimissioni per giusta causa. Per precauzione però è giusto che il lavoratore raccolga tutte le prove e il materiale necessario per dimostrare che le sue motivazioni fossero vere e proprie rientranti nella giusta causa.
Se ad esempio ci si licenzia perché il datore non ha pagato 3 mesi di retribuzione, allora è giusto che il dipendente si procuri tutti i cedolini paga e l’estratto del proprio conto per dimostrare che non ci sono stati movimenti in entrata.
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