È sempre bene informarsi, prima di partire per un viaggio, sui possibili requisiti e procedure di accesso nel paese ospitante. Solo così possiamo viaggiare tranquillamente in tutti i paesi dell’area di Schengen. E non solo! Occorre, anzitutto, chiedersi se è necessario munirsi di un visto d’ingresso, il cosiddetto “Visto per Turismo” e distinguere tra cittadini europei e cittadini extraeuropei.
Tutti i cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea sono liberi di fare ingresso in Italia per soggiornarvi, cercare un’occupazione ed eventualmente mantenervi la residenza.
Secondo l’articolo 45 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) infatti “Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri”.
L’unico requisito per l’accesso dei cittadini dell’UE è il possesso di un documento di riconoscimento in corso di validità (ad esempio, la carta di identità o il passaporto). Si parla a tal proposito di “libera circolazione di persone”. Della libertà di circolazione, tuttavia, non possono essere destinatari i cittadini provenienti da Stati che non sono membri dell’Unione Europea.
Per quali ragioni sussistono degli ostacoli e dei vincoli al libero accesso dei cittadini extracomunitari sul territorio italiano? Principalmente, ragioni di ordine pubblico e ragioni di ordine economico. I cittadini extracomunitari, dunque, possono soggiornare in Italia ma a determinate condizioni di ingresso, circolazione e soggiorno, e seguendo specifiche procedure per il rilascio di visti e permessi di soggiorno.
Per entrare in Italia lo straniero ha 2 modi:
- l’utilizzo di un apposito visto, corrispondente al motivo d’ingresso, rilasciato dall’ambasciata italiana o dalle sedi consolari italiane situate presso il Paese terzo di residenza del cittadino extraeuropeo;
- l’utilizzo di un permesso di soggiorno, rilasciato dalla competente Questura italiana del luogo ove lo straniero si trovi attualmente.
Attraverso il visto, lo Stato italiano concede ad un cittadino extracomunitario l’ingresso nel proprio territorio per un breve e circoscritto periodo di tempo e solo per determinati scopi (ad esempio, per fini di formazione professionale e di studio).
Il permesso di soggiorno, invece, consente allo straniero di poter soggiornare legalmente in Italia, sebbene lo stesso sia privo di cittadinanza italiana.
In sostanza, il visto è un atto d’ingresso, mentre il permesso di soggiorno è un documento per poter soggiornare sul territorio della Repubblica italiana. È, perciò, molto importante non confondere il permesso di soggiorno con il visto, specie per le notevoli differenze giuridiche che intercorrono tra i due istituti.
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Quanti tipi di visto esistono?
Attraverso il Decreto interministeriale n. 850 dell’11 maggio 2011, sono stati individuati ben 21 visti, a cui corrispondono diversi motivi d’ingresso:
adozione, affari, cure mediche, diplomatico, gare sportive, per invito, per lavoro autonomo, per lavoro subordinato, per missione, di reingresso, per residenza elettiva, per ricerca, per transito e transito aeroportuale, per vacanze-lavoro, per volontariato, per investitori stranieri (cosiddetto, Investor Visa for Italy), per nomadi digitali e lavoratori da remoto, per motivi religiosi, per motivi familiari, per ricerca, per studio e formazione, per turismo.
Visto per turismo: durata, requisiti e condizioni per l’ottenimento
Il visto per turismo consente al cittadino straniero, che intenda viaggiare per motivi di turismo, l’ingresso in Italia per un lasso di tempo ridotto che non può essere superiore ai 90 giorni. In sostanza, si tratta di un lasciapassare ogni qualvolta si oltrepassa la frontiera nazionale.
L’extracomunitario che intenda richiedere un visto turistico deve presentare apposita domanda di visto di ingresso all’autorità amministrativa competente, e allegarvi:
- un valido documento di riconoscimento;
- una fotografia in formato tessera recente;
- il possesso di adeguati mezzi economici di sostentamento durante il periodo di soggiorno;
- apposito titolo di viaggio di andata e ritorno (ad esempio, biglietti aereo), di prenotazione, oppure il possesso di mezzi personali di trasporto (ad esempio, auto di proprietà);
- documentazione attestante la propria condizione sociale e professionale;
- assicurazione sanitaria in corso di validità;
- dichiarazione di ospitalità, prenotazione alberghiera o idonea documentazione che attesti la disponibilità di un alloggio.
Come prorogare il visto turistico
A determinate condizioni, è possibile chiedere in Questura la proroga del proprio visto per turismo. Per poter presentare domanda occorre dimostrare:
- di non poter lasciare il territorio italiano per cause di forza maggiore (ad esempio, la cancellazione del volo per sciopero);
- che sussistono seri motivi che impediscono il rientro nel proprio Paese (ad esempio, incidente o malattia).
Inoltre, secondo l’art. 30 del decreto legislativo n. 286 del 1998 (cosiddetto, Testo Unico sull’Immigrazione), è possibile convertire il proprio visto per turismo in un permesso di soggiorno, a patto che ciò sia giustificato da motivi familiari. Il cittadino extraeuropeo deve dimostrare che ci sono tutti i requisiti per procedere al ricongiungimento con un proprio familiare. Si parla in tal proposito di “permesso di soggiorno per coesione familiare”.
Più precisamente, lo straniero che intenda chiedere la conversione, dovrà presentare idonea documentazione attestante il grado di parentela con il cittadino italiano o il cittadino di uno Stato membro residente in Italia, la disponibilità e idoneità di alloggio, di possedere un reddito sufficiente a garantire il proprio sostentamento durante il soggiorno.
Solo laddove l’autorità competente, esaminati i requisiti, decida di accogliere la domanda di conversione, lo straniero potrà legalmente rimanere in Italia oltre i 90 giorni massimi di durata del visto per turismo.
Mancata proroga e mancata conversione del visto turistico
Il legislatore, per prevenire possibili abusi della disciplina contenuta nel Testo Unico per l’Immigrazione, ha deciso di ricorrere al diritto penale in caso di violazione delle disposizioni in materia di visto e permesso di soggiorno.
Le conseguenze del mancato accoglimento della domanda di proroga o di conversione sono immediate: ammenda (che va da 5.000 a 10.000 euro) ed espulsione dello straniero che rimane in Italia con un visto per turismo scaduto (art. 10 bis del d. lgs. 286/98).
Rimanere sul territorio nazionale italiano oltre la normale durata del visto è illegale. Tuttavia, l’autorità non può emettere un decreto di espulsione e multare l’interessato, qualora questo sia identificato durante i controlli di frontiera. In quest’ultimo caso, infatti, si presume che il cittadino extracomunitario, con visto turistico scaduto, stia lasciando volontariamente il territorio italiano. Viene meno, in tal caso, l’interesse dello Stato ospitante a disporre, o eseguire coattivamente, l’espulsione.
Le conseguenze di un soggiorno irregolare colpiscono non solo il diretto interessato ma anche chiunque offra ospitalità, gratuitamente o dietro compenso, allo straniero irregolare.
È bene ricordare, inoltre, che si viola la legge anche qualora si dia lavoro a un cittadino straniero che sia entrato in Italia per motivi di turismo. In tal caso, il regime sanzionatorio è il medesimo di quello previsto per l’assunzione di immigrati irregolari.
Segnalazione nel Sistema d’Informazione Schengen
Lo straniero che ritardi a lasciare il paese alla scadenza del visto turistico potrebbe subire delle ripercussioni in caso di richiesta di nuovo visto per l’Italia. L’autorità competente al rilascio, infatti, potrebbe chiedere spiegazioni riguardo il prolungamento del precedente soggiorno oltre la durata massima autorizzata e, qualora ritenga che l’interessato possa rappresentare un potenziale rischio per il paese ospitante, negare il rilascio del nuovo visto.
In tal caso, l’autorità consolare procederà anche a segnalare lo straniero nel database condiviso dei Paesi aderenti all’accordo Schengen, ossia nel Sistema d’Informazione Schengen (SIS).
È possibile richiedere la cancellazione della segnalazione inviando apposita richiesta per iscritto (tramite raccomandata con ricevuta di ritorno oppure casella di posta elettronica certificata) al Ministero dell’Interno, Dipartimento di Pubblica Sicurezza.