Il rapporto genitori figli non è sempre rosa e fiori. Ci sono momenti nella vita in cui siamo tutti costretti a fare i conti con certe differenze mentali e di pensiero, che portano questo legame a finire sul filo di un rasoio. Ecco quindi che un genitore, quando subisce un torto grave dalla prole, o comunque ritiene ancora da educatore di dover punire un figlio per certe azioni commesse non corrispondenti ai suoi insegnamenti, trova un modo per “ferire” attraverso i soldi, gli immobili e più in generale il patrimonio. A tal proposito potrebbe essere richiesta la diseredazione. Ma quando la legge italiana consente ad un padre o ad una madre di diseredare un figlio?
Per il nostro ordinamento ciò è possibile solo quando un figlio commette degli atti giudicati gravi dalla legge (come reati di tentato omicidio, aggressione, inganni, falsificazione del testamento).
Vediamo più nel dettaglio.
Diseredare un figlio non degno a succedere
Come anticipato, la legge italiana stabilisce dei casi tassativamente elencati in cui un figlio viene considerato indegno a rientrare nell’asse ereditario dei suoi genitori. Non si può quindi punire un figlio ribelle, impertinente o che ha fatto delle cose considerate non giuste ma che allo stato dei fatti non si perfezionano come reati.
Di contro, è possibile escludere dal testamento il proprio figlio in alcuni casi.
In primis se ha tentato di ammazzare un genitore, il suo coniuge o un suo discendente.
In secondo luogo è indegno a succedere il figlio che ha istigato un padre o una madre a suicidarsi (o ha fatto lo stesso con un ascendente o un discendente del genitore).
E poi ancora non può accedere all’eredità se calunnia il genitore, se dichiara il falso o se testimonia in un processo (ingiusto) per un reato penale contro il genitore.
Altresì può essere diseredato il figlio che costringe con dolo e violenza il genitore alla modifica del testamento o ne altera il contenuto di nascosto.
Figlio diseredato: come funziona
Per far sì che un figlio diseredato risulti tale, è un giudice che deve analizzare il caso e dichiarare dunque effettiva la diseredazione con sentenza. Questo vuol dire che un figlio indegno può accettare l’eredità ed agire come erede solo fin quando gli effetti della sentenza non avranno validità, ovvero finché il giudice non avrà considerato sussistenti le ipotesi di indegnità.
Per l’indegnità dell’erede bisogna agire entro dieci anni dall’apertura della successione, altrimenti quest’ultimo potrà entrare nel possesso della parte patrimoniale a lui spettante. Questo in parole povere vuol dire che esiste un termine prescrittivo decennale per accertare le cause di indegnità eventualmente sollevate.
Tornando alla sentenza di indegnità, dal momento che essa ha effetto retroattivo, il figlio diseredato dovrà restituire quanto da lui posseduto nonché i proventi ricavati dai beni appartenenti all’eredità. Tutto quello in suo possesso sarà ripartito equamente tra altri soggetti aventi diritto.
Il perdono del genitore
L’ordinamento italiano, sulla base forse anche di una vena sentimentale, consente al genitore di ricredersi sul figlio, “perdonandolo” e quindi permettendogli di liberarlo dalla posizione di indegno. In pratica un padre o una madre riabilita il figlio con un atto pubblico (o anche ne testamento) in cui è contenuta la dichiarazione di perdono. Questa figura è riconosciuta giuridicamente con il nome di riabilitazione totale.
Si parla invece di riabilitazione parziale per indicare quella situazione in cui un genitore, in maniera tacita, include il figlio nel proprio testamento sebbene sia presente una sentenza di indegnità. Questo comportamento implicito lascia presumere che il genitore, pur cosciente dell’addio al figlio, e pur avendo la possibilità di escluderlo dall’asse ereditario, decida di dargli quello che ritiene opportuno. La qual cosa vuol dire che, in caso di riabilitazione parziale, il figlio indegno non può rivendicare il diritto sulla quota di legittima ma deve accontentarsi del “poco” che il genitore ha voluto lasciargli.
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