Concetto intricato e dalla portata molto complessa, il diritto all’oblio non è altro che la rappresentazione per ognuno di noi di esplicare il nostro diritto all’identità personale. Il concetto, che sui generis può valere per chiunque, in vero viene elargito soprattutto dalle aziende.
Si suole dire che si oblia (si chiede di obliare) ciò che si ritiene non debba appartenere più all’identità personale, in questo caso aziendale.
Se vuoi sapere come si applica concretamente il diritto all’oblio in un’azienda, ti può essere utile questo articolo sul nostro sito.
Indice dell'articolo
La rimozione delle informazioni personali
Le aziende tendono ad esercitare il diritto all’oblio soprattutto per richiedere la rimozione delle informazioni personali in circolazione dal dominio pubblico.
Ragion per cui spesso viene equiparato al diritto alla cancellazione (anche se molto erroneamente): si può dire che avanzare la richiesta di cancellare le info personali rappresenta tuttavia la conseguenza dell’obliare piuttosto che una similarità dello stesso.
Il diritto alla memoria
In questo contesto di particolari richieste da parte delle aziende che cercano di tutelare la propria immagine e l’offerta di beni o servizi da loro proposta, si inquadra anche il concetto di dritto alla memoria, spesso in contrasto con l’oblio.
Stando a quanto scrive l’autore Francesco Pizzetti (cfr. Privacy e il Diritto Europeo alla Protezione dei Dati Personali, Giappichelli, 2016): “Da un lato, essi aspirano all’immortalità e, sapendo di non poterla avere, cercano di lasciare il più a lungo possibile memoria di sé come unico modo per prolungare la propria vita, o meglio il ricordo nel futuro del fatto che essi sono esistiti, e di ciò che hanno realizzato. All’opposto, ogni persona umana ha anche il terrore che ogni atto negativo compiuto nel corso della propria esistenza possa essere ricordato per sempre, o almeno fino a quando è in vita e lo sono quelli che ne hanno memoria.”
La libertà di manifestazione del pensiero
Quanto il diritto all’oblio si scontra con la libertà che ogni individuo ha nel manifestare la propria opinione? Questo è un discorso molto delicato che si inquadra in un concetto molto più ampio, ovvero quello del diritto di ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo.
Da quando le aziende utilizzano a loro vantaggio il concetto di oblio, anche la libertà di pensiero ha cambiato la sua portata. Oggi soprattutto che, la moderna società dell’informazione sfrutta il progresso tecnologico, le opinioni della gente sono alla mercé di tutti. Il che comporta, da parte delle aziende, una maggiore cura ad obliare tutti quei post, articoli, messaggi, forum che ledono la loro immagine e la loro attività lavorativa.
Gli imprenditori esercitano i loro diritti all’oblio ad esempio su foto e video privati, sui messaggi WhatsApp, Facebook e sui video YouTube.
La sentenza della Corte Europea
Ad agevolare l’esercizio aziendale dell’obliare una sentenza della Corte Europea, attraverso cui anche Google, ormai fonte di business, viene “preso di mira”.
Le aziende oggi chiedono di frequente la rimozione di articoli imbarazzanti: la qual cosa ha permesso la nascita di molte agenzie che vendono questo servizio di cancellazione ai loro clienti. Secondo gli esperti “È un nuovo modello di business: la gente vuole controllare il modo in cui appare nei risultati di ricerca”.
Per quanto concerne l’Autorità garante italiana, ha avuto spesso a che fare con il diritto all’oblio. Essa infatti si è occupata per la prima volta di questa pratica 15 anni fa, nel 2004 e poi di nuovo sia nel 2008 che nel 2010. I vari casi che l’hanno occupata facevano soprattutto riferimento alla pubblicazione online degli archivi storici dei giornali.
Stando alla decisione dell’Autorità, non ha nulla di illecito la messa a disposizione per la consultazione dei dati personali online. Tuttavia essa precisa che la pagina web contenente i dati personali può non essere sottoposta ad indicizzazione dei motori di ricerca esterni.
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