Tra i licenziamenti disciplinari si distingue quello per giusta causa. Come si può evincere dal nome, esso viene giustificato da condotte che il lavoratore assume e che sono considerate talmente insostenibili, da non poter permettere che il rapporto di lavoro prosegua. Di conseguenza il datore di lavoro può decidere di interrompere la collaborazione anche senza preavviso.
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Contrariamente a quello per giustificato motivo soggettivo, il licenziamento per giusta causa si basa sul fatto che il dipendente abbia assunto degli atteggiamenti talmente irrispettosi e scorretti da aver compromesso la produttività e la serenità del rapporto di lavoro. Non solo i presupposti della giusta causa si basano sulla malafede del dipendente, bensì anche su un suo comportamento non intenzionale ma colpevole.
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Licenziamento per giusta causa: quando è possibile
Al fine di porre in essere un licenziamento per giusta causa, ci devono dunque essere concretamente delle condotte del lavoratore talmente gravose da aver incrinato la fiducia che legava datore e dipendente. Per la disamina del caso si tengono presente alcuni requisiti, quali ad esempio:
- La natura del rapporto
- La qualità del rapporto
- Il ruolo ricoperto dal dipendente e il suo grado di responsabilità nell’espletamento delle sue mansioni
- L’importanza e la sensibilità dei compiti del dipendente
- Le motivazioni che hanno indotto il lavoratore a quel comportamento
- L’intenzione o meno di incrinare il rapporto di lavoro da parte del dipendente
- Gli eventuali danni causato all’azienda
- L’indole personale del dipendente
- I precedenti del lavoratore
- Tutti gli altri aspetti che si legano al rapporto e che hanno potuto contribuire negativamente alla situazione che si è venuta a creare
Pronunce giurisprudenziali e sentenze sull’argomento
Molte sono state le pronunce giurisprudenziali in merito alla questione del licenziamento per giusta causa. Vediamo insieme alcune delle più importanti sentenze.
Giusta causa di licenziamento del dipendente: Cassazione civile sez. lav., 08/11/2019, n.28927
Affinché si possa valutare la proporzionalità tra il comportamento lesivo e la punizione aziendale, bisogna analizzare in concreto il tipo di azioni poste in essere dal lavoratore. Bisogna cioè capire se effettivamente sussista una gravità tale da aver scosso la fiducia del datore, il quale inizia a considerare insostenibile il proseguimento della collaborazione.
La pronuncia in esame nasce dopo che l’Inps aveva disposto il licenziamento di un proprio dipendente, che aveva con cognizione di colpa ritoccato i dati di alcune pratiche di ricongiunzione di periodi assicurativi e riscatti di periodi di laurea.
Licenziamento per giusta causa: il rifiuto del lavoratore di porre in essere la mansione indicata dal datore: Cassazione civile sez. lav., 14/05/2019, n.12777
Sempre rimanendo in tema, anche il diniego ad adempiere a determinate mansioni può essere motivo di licenziamento per giusta causa. Se il rifiuto del dipendente nasce non in buona fede può creare il precedente nel datore di prendere provvedimenti attraverso il recesso unilaterale del rapporto di lavoro attraverso licenziamento per giusta causa, quindi senza preavviso. L’inottemperanza alle disposizioni poste in essere dal datore di lavoro, se pure non legittime, va valutata dal punto di vista sanzionatorio, nel rispetto del contenuto dell’art. 1460, comma 2, c.c. Quest’ultimo prevede infatti che una delle parti può anche decidere di non eseguire una determinata prestazione, purché lo faccia in buona fede, tenuto conto di quelle che sono le circostanze concrete.
La pronuncia in esame nasce dopo che è stata sollevata la questione su un contratto di lavoro part-time, in cui la prestazione non prevedeva una specifica indicazione su come plasmare il loro nell’arco della settimana. Rifiutandosi il dipendente di esperire la sua prestazione a determinati orari, il datore di lavoro aveva provveduto al licenziamento per giusta causa. Quest’ultimo è stato considerato legittimo dalla Suprema Corte.
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