L’Italia è uno di quei paesi rinomati per la lunga durata del processo civile. La risoluzione dei processi è molto lenta, i tribunali restano obsoleti, le sentenze sono senza effetti.
Pur avendo l’ordinamento italiano subito l’intervento una serie di recenti riforme, i gradi di giudizio della giustizia italiana rimangono prolissi, ben lontana dai canoni tipici dei paesi europei.
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La durata della causa civile presso il Giudice di Pace
Le cause che vengono proposte dinanzi al giudice di Pace sono quelle per le quali un soggetto si vede lesi i diritti che gli spettano. Per cui sulla base dei requisiti di competenza previsti dal Codice di Procedura Civile, la questione viene esperita presso il GdP.
Questa tipologia di giudizio viene regolata dagli artt. 311 e segg. c.p.c.. Esso prevede il rinvio alle norme disciplinanti il giudizio dinanzi al Tribunale, per tutto ciò che non è regolato da quelle sopra richiamate o da altre disposizioni di legge.
La sua durata è molto più breve per sommi capi rispetto al giudizio esperito in Tribunale. Sono differenti le procedure così come le caratteristiche di svolgimento del processo in sé e per sé.
Il processo civile presso il Tribunale
Più spinosi sono invece quei casi che, in base alla competenza stabilita per legge, vanno esperiti presso il Tribunale.
Già a partire dalla fase introduttiva cambiano le norme di riferimento (ad esempio il processo di cognizione si attua sulla base di ex art. 702bis c.p.c.). Di solito, se la causa si introduce con atto di citazione, il riferimento andrà all’art. 163 cpc. Dalla data di notificazione dell’atto e quella di prima udienza passa un lasso di tempo non inferiore a 90 giorni.
Dopo la prima udienza le parti faranno appello all’art. 183 cpc che prevede in totale circa 80 giorni: si tratta dei termini entro cui presentare le tre memorie difensive. Dopodiché verrà fissata ulteriore udienza per esaminare i mezzi istruttori. Insomma si tratta di tempistiche molto più prolisse.
Qualche considerazione finale in merito alla durata del processo civile
Appare dunque evidente che in fatto di durate fisse e definitive l’ordinamento italiano non ha una tempistica prestabilita entro cui risolvere una controversia. Il processo civile si basa su numerose variabili, per la maggior parte non dipendenti dalla volontà dell’avvocato.
In linea generale comunque è possibile dire che dinanzi al Giudice di Pace si svolgono processi molto più brevi data la struttura più semplice e data la fase istruttoria più snella. Anche la fase decisoria si contraddistingue per una maggiore celerità.
Quali sono i possibili elementi che influenzano la durata del processo?
Ci sono quindi degli elementi estranei al classico decorso processuale che possono incidere in modo significativo sulla durata. Essi sono:
- Una possibile costituzione di parte convenuta. Pare infatti che qualora dovesse esserci la mancata costituzione della controparte, il processo sarà di gran lunga più snello e veloce;
- La struttura della fase istruttoria: la consistenza e la tipologia delle istanze istruttorie di cui viene disposta l’ammissione, inficiano sui termini. Così come la loro complessità va a pesare, e di non poco, sulla durata del giudizio;
- La tipologia di rito scelta da parte attrice: il processo sommario di cognizione (ex art. 702bis p.c.) di solito si presenta molto più rapido. Questo contrariamente al giudizio ordinario presentato con atto di citazione. Tuttavia l’ex art. 702 può valere solo in presenza di specifici presupposti, in assenza dei quali il rito dovrà per forza essere ordinario.
Si può pertanto concludere il discorso dicendo che, in media, la durata di un processo va da un minimo di circa 6 mesi a un massimo di 3-4 anni. Ovviamente è un’ipotesi da prendere con le pinze, date le innumerevoli variabili e i vari ostacoli che possono presentarsi in seno alla causa.
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